domenica 28 dicembre 2014

Rodin: "La Cattedrale" e la devozione

E' incominciata così: 
per caso ho trovato la foto della scultura di Auguste Rodin "la Cattedrale": raffigura due mani in procinto di toccarsi, di giungersi e ciò che è successo nella mia mente ancora ora stento a descriverlo chiaramente. 

Perché è più pericolosa l'adorazione della devozione? Non so chi l'ha detto, ma chiunque sia stato, se c'è stato, sono d'accordo. 
L'adorazione richiede cecità, sottomissione, accondiscendenza. La si confonde con l'amore, si dice "ti amo" e poi "ti adoro", come se fosse un grado maggiore di intensità del sentimento.
Fossi in voi dubiterei di chi vi adora. Non siamo déi, e in tutta onestà, dovrebbero esaminarsi anche loro e chiedersi se faccia bene tutta questa adorazione nei loro confronti. Di certo noi non abbiamo guadagnato molto dall'adorazione di un dio, o di più, in questa storia dell'umanità. 

La devozione mi pare essere ben altro affare, signori. Sembra la stessa cosa ma non è. Certo nemmeno quello è amore, sia chiaro. Non sto dicendo che l'adorazione è assolutamente negativa e la devozione assolutamente positiva, né sto misurando a quale distanza l'una o l'altra stiano dall'amore, per dirla tutta non è d'amore che vorrei parlare, sebbene ben ci rientrerà.
"Ti sono devota": nessuno lo dice mai. Eppure la devozione vuol dire affetto, disponibilità e fiducia. Include stima, sincerità; nega alcune strade e ne propone altre, lascia libera l'opinione. E' aperta al dialogo. E soprattutto è qualcosa che si proietta ad altri ma nasce, cresce e prende forma solo e soltanto dentro noi stessi, è una forma intima di dialogo con il proprio sé. La devozione è una scelta, un'opportunità che ti scegli quando cammini nelle tue scarpe sulla tua strada. Non richiede preghiere né dogmi. E si affianca a ciò che diventa o già è Amore, senza coprire o offuscare.

E allora eccola lì: "La Cattedrale". 
Ci sono chiese silenziose e piccole, poco illuminate, dove entri e sai che è lì che devi pregare, se ci credi, ovviamente. Ma non sei un turista e stavolta sei entrato perché hai bisogno di pregare o solo di pensare. Qualche giorno fa un mio amico mi ha detto "secondo me questi sono i luoghi migliori dove parlare di sconcerie" e la cosa mi ha fatto ridere parecchio. Peccato per quei atei che non amano le chiese semplicemente perché non credenti: quanta anima-teatro che si perdono!
Il silenzio rispettoso si gira alla tua presenza quasi con timore, come se solo tu potessi distruggerlo ed effettivamente è così: non esiste silenzio come quello che aleggia nelle chiese. Mano a mano che il tempo passa e concedi al silenzio di entrare dentro, senti lì, in quel momento, la devozione: non verso dio, né verso nessun santo, né verso chi sa quale entità ultraterrena. La devozione è tua, verso di te, verso la persona che il più terrenamente possibile ti sta a fianco, verso i tuoi amici o genitori, verso il tuo cane o quello del tuo amico; verso un'umanità concentrata in una goccia di splendore.

Quella è la devozione di Rodin. E la Cattedrale è in un incrocio di mani, perché noi siamo le nostre cattedrali. Perché noi ci ergiamo come pietre consacrate, innalziamo un monumento a noi stessi quando le nostre membra si congiungono ad altre. 
Perché non c'è cattedrale con un credo più forte e più convincente di quello che con pacatezza si fa parola dell'amore, e so quanto fastidio dia nominarlo perché l'abbiamo svenduto per banalità di banalità. Ma di questo si tratta: quando tendiamo la mano per stringerne un'altra, è amore. Sussurratelo, pensatelo soltanto, ma questo è. 
E il caro Rodin lo sapeva, e non ha aspettato la storia o l'adorazione degli altri per costruire la sua Cattedrale. Lo sapeva anche quando ha lasciato che l'amore trapassasse un blocchetto di pietra, così da lasciare noi come quel momento ritratto: in sospeso, un attimo prima della stretta, come se ci costringesse a chiederci "e quindi? Si sono stretti o no?", "E' un abbraccio o una stretta soltanto? "Qual è la storia di queste mani?", "E se una delle due fosse la mia?". 

Non c'è adorazione nella Cattedrale di Rodin, e questo perché nessuna Cattedrale è stata mai pianificata per onorare e lodare l'uomo e la sua piccola essenza, se non questa. E quando si loda l'uomo, non può esserci adorazione. Bisogna essere uomini di fronte agli uomini: quindi devoti. 

Forse perché la devozione è questo, qualche volta, per concessione, per piacere: un amore morbido alla vista, silenzioso e dalla consistenza della pietra.

 
Monumento A Noi.

sabato 13 dicembre 2014

Cartier-Bresson e altre cose che non so

Sono passata da Roma l'Eterna e ho visto la mostra su Henri Cartier-Bresson.
Ora, non so chi mi stia leggendo, ma se per caso tu non conosci questo nome, chiudi questa pagina, vai su Google immagini e cerca. A caso, la prima immagine. E meravigliati.
Meravigliati perché se anche tu vivi in questo tempo ti renderai conto, forse, se ti concedi un po' di fortuna, che la bellezza c'è ma non esiste tra di noi.
C'è perché per fare una foto che commuove fino allo stravolgimento basta uno sguardo, ché la bellezza sta negli occhi, ovvietà in disuso, lasciate che lo scriva;
basta la luce in un riflesso, la luce che si piega sulla materia, basta la voglia di immortalare un momento e di lasciarlo alla storia, basta voler racchiudere con un gesto tutta la storia dell'umanità.
Non è servito social network né filtro instagram per paralizzarmi davanti la bellezza. E' bastato un social network e l'ennesimo hamburger con filtro "tramonto soffuso retrò con nebbia vintage e cinquanta sfumature di sto cazzo" per farmi capire che ci sono cose che non capisco.

E questo lato Bresson della vita che non mi appartiene e che mi stupisce.
Mi stupisce il viaggio, la valigia ancora in giro che guardo con affetto come potrei guardare con affetto un animale docile che si affianca, laddove sono più io che mi affianco a lei per desiderio continuo di partire, ché mi fa così bene che quasi me lo stavo scordando.

Mi stupisce il mio cervello, che mi mette in agitazione perché si diverte da solo a farsi inciampare e io mi sento come dall'altra parte della strada a chiamare e subire le sue scelte, lui che mi anticipa e mi precede, mi supera e mi rassicura di starmi vicino. Lui che la psiche è una e sono perfettamente lucida, so che è fermo dentro la mia scatola cranica ma certe volte mi lascia davvero disarmata.

Ci sono immense pagine di diario che vanno scritte e che non andranno al di là del loro lago di inchiostro, dentro i margini del quaderno. Mi chiedo quando arriverà il momento di lavorare come se non ci fosse un domani sulle pagine più furiose della mia minuscola vita, io che tanto amo essere un granello di polvere, cosa detta non per bassa autostima bensì con la consapevolezza che è la polvere che viaggia leggera, che persiste anche se cerchi di cacciarla via ed è quella che meglio riflette la luce quando illuminata ma sa essere discreta se è l'ora del buio.
Rimbaud a 17 anni era irrequieto e scriveva e ha fatto la storia, io a 17 anni ancora cazzeggiavo e pensavo che Rimbaud fosse un drogato. Ora penso ancora fosse un drogato, probabilmente un viziato che aveva l'opportunità di evacuare, ma ora gli voglio piùbbeneassai e lo apprezzo.

Questo lato Bresson della vita  che se avessi incontrato quando mi sentivo un processato al patibolo che con serenità guarda la morte in faccia, avrei capito prima che si trattava solo di capricciosa rassegnazione e che sarei andata ovunque anche se sentivo sarei andata da nessuna parte.
Questa vita che proprio non so cosa significhi, non so chi mi faccia incontrare e perché, non so perché  mi viene incontro lei così, con qualche mostra casuale in una delle città mondo del mondo.

E io lo dico, sì: questa vita è tutta vita. E non lo sapevo. Ci sono promesse da svelare e il mio nome segreto scriverà per molto tempo tantissime cose. Sento di poter scrivere che le cose saranno solo in salita, questo perché nel momento in cui saranno in discesa, semplicemente invertirò la clessidra, e con lei la prospettiva.





                                           Tutta vita è, basta essere tête de noeud.