domenica 28 dicembre 2014

Rodin: "La Cattedrale" e la devozione

E' incominciata così: 
per caso ho trovato la foto della scultura di Auguste Rodin "la Cattedrale": raffigura due mani in procinto di toccarsi, di giungersi e ciò che è successo nella mia mente ancora ora stento a descriverlo chiaramente. 

Perché è più pericolosa l'adorazione della devozione? Non so chi l'ha detto, ma chiunque sia stato, se c'è stato, sono d'accordo. 
L'adorazione richiede cecità, sottomissione, accondiscendenza. La si confonde con l'amore, si dice "ti amo" e poi "ti adoro", come se fosse un grado maggiore di intensità del sentimento.
Fossi in voi dubiterei di chi vi adora. Non siamo déi, e in tutta onestà, dovrebbero esaminarsi anche loro e chiedersi se faccia bene tutta questa adorazione nei loro confronti. Di certo noi non abbiamo guadagnato molto dall'adorazione di un dio, o di più, in questa storia dell'umanità. 

La devozione mi pare essere ben altro affare, signori. Sembra la stessa cosa ma non è. Certo nemmeno quello è amore, sia chiaro. Non sto dicendo che l'adorazione è assolutamente negativa e la devozione assolutamente positiva, né sto misurando a quale distanza l'una o l'altra stiano dall'amore, per dirla tutta non è d'amore che vorrei parlare, sebbene ben ci rientrerà.
"Ti sono devota": nessuno lo dice mai. Eppure la devozione vuol dire affetto, disponibilità e fiducia. Include stima, sincerità; nega alcune strade e ne propone altre, lascia libera l'opinione. E' aperta al dialogo. E soprattutto è qualcosa che si proietta ad altri ma nasce, cresce e prende forma solo e soltanto dentro noi stessi, è una forma intima di dialogo con il proprio sé. La devozione è una scelta, un'opportunità che ti scegli quando cammini nelle tue scarpe sulla tua strada. Non richiede preghiere né dogmi. E si affianca a ciò che diventa o già è Amore, senza coprire o offuscare.

E allora eccola lì: "La Cattedrale". 
Ci sono chiese silenziose e piccole, poco illuminate, dove entri e sai che è lì che devi pregare, se ci credi, ovviamente. Ma non sei un turista e stavolta sei entrato perché hai bisogno di pregare o solo di pensare. Qualche giorno fa un mio amico mi ha detto "secondo me questi sono i luoghi migliori dove parlare di sconcerie" e la cosa mi ha fatto ridere parecchio. Peccato per quei atei che non amano le chiese semplicemente perché non credenti: quanta anima-teatro che si perdono!
Il silenzio rispettoso si gira alla tua presenza quasi con timore, come se solo tu potessi distruggerlo ed effettivamente è così: non esiste silenzio come quello che aleggia nelle chiese. Mano a mano che il tempo passa e concedi al silenzio di entrare dentro, senti lì, in quel momento, la devozione: non verso dio, né verso nessun santo, né verso chi sa quale entità ultraterrena. La devozione è tua, verso di te, verso la persona che il più terrenamente possibile ti sta a fianco, verso i tuoi amici o genitori, verso il tuo cane o quello del tuo amico; verso un'umanità concentrata in una goccia di splendore.

Quella è la devozione di Rodin. E la Cattedrale è in un incrocio di mani, perché noi siamo le nostre cattedrali. Perché noi ci ergiamo come pietre consacrate, innalziamo un monumento a noi stessi quando le nostre membra si congiungono ad altre. 
Perché non c'è cattedrale con un credo più forte e più convincente di quello che con pacatezza si fa parola dell'amore, e so quanto fastidio dia nominarlo perché l'abbiamo svenduto per banalità di banalità. Ma di questo si tratta: quando tendiamo la mano per stringerne un'altra, è amore. Sussurratelo, pensatelo soltanto, ma questo è. 
E il caro Rodin lo sapeva, e non ha aspettato la storia o l'adorazione degli altri per costruire la sua Cattedrale. Lo sapeva anche quando ha lasciato che l'amore trapassasse un blocchetto di pietra, così da lasciare noi come quel momento ritratto: in sospeso, un attimo prima della stretta, come se ci costringesse a chiederci "e quindi? Si sono stretti o no?", "E' un abbraccio o una stretta soltanto? "Qual è la storia di queste mani?", "E se una delle due fosse la mia?". 

Non c'è adorazione nella Cattedrale di Rodin, e questo perché nessuna Cattedrale è stata mai pianificata per onorare e lodare l'uomo e la sua piccola essenza, se non questa. E quando si loda l'uomo, non può esserci adorazione. Bisogna essere uomini di fronte agli uomini: quindi devoti. 

Forse perché la devozione è questo, qualche volta, per concessione, per piacere: un amore morbido alla vista, silenzioso e dalla consistenza della pietra.

 
Monumento A Noi.

sabato 13 dicembre 2014

Cartier-Bresson e altre cose che non so

Sono passata da Roma l'Eterna e ho visto la mostra su Henri Cartier-Bresson.
Ora, non so chi mi stia leggendo, ma se per caso tu non conosci questo nome, chiudi questa pagina, vai su Google immagini e cerca. A caso, la prima immagine. E meravigliati.
Meravigliati perché se anche tu vivi in questo tempo ti renderai conto, forse, se ti concedi un po' di fortuna, che la bellezza c'è ma non esiste tra di noi.
C'è perché per fare una foto che commuove fino allo stravolgimento basta uno sguardo, ché la bellezza sta negli occhi, ovvietà in disuso, lasciate che lo scriva;
basta la luce in un riflesso, la luce che si piega sulla materia, basta la voglia di immortalare un momento e di lasciarlo alla storia, basta voler racchiudere con un gesto tutta la storia dell'umanità.
Non è servito social network né filtro instagram per paralizzarmi davanti la bellezza. E' bastato un social network e l'ennesimo hamburger con filtro "tramonto soffuso retrò con nebbia vintage e cinquanta sfumature di sto cazzo" per farmi capire che ci sono cose che non capisco.

E questo lato Bresson della vita che non mi appartiene e che mi stupisce.
Mi stupisce il viaggio, la valigia ancora in giro che guardo con affetto come potrei guardare con affetto un animale docile che si affianca, laddove sono più io che mi affianco a lei per desiderio continuo di partire, ché mi fa così bene che quasi me lo stavo scordando.

Mi stupisce il mio cervello, che mi mette in agitazione perché si diverte da solo a farsi inciampare e io mi sento come dall'altra parte della strada a chiamare e subire le sue scelte, lui che mi anticipa e mi precede, mi supera e mi rassicura di starmi vicino. Lui che la psiche è una e sono perfettamente lucida, so che è fermo dentro la mia scatola cranica ma certe volte mi lascia davvero disarmata.

Ci sono immense pagine di diario che vanno scritte e che non andranno al di là del loro lago di inchiostro, dentro i margini del quaderno. Mi chiedo quando arriverà il momento di lavorare come se non ci fosse un domani sulle pagine più furiose della mia minuscola vita, io che tanto amo essere un granello di polvere, cosa detta non per bassa autostima bensì con la consapevolezza che è la polvere che viaggia leggera, che persiste anche se cerchi di cacciarla via ed è quella che meglio riflette la luce quando illuminata ma sa essere discreta se è l'ora del buio.
Rimbaud a 17 anni era irrequieto e scriveva e ha fatto la storia, io a 17 anni ancora cazzeggiavo e pensavo che Rimbaud fosse un drogato. Ora penso ancora fosse un drogato, probabilmente un viziato che aveva l'opportunità di evacuare, ma ora gli voglio piùbbeneassai e lo apprezzo.

Questo lato Bresson della vita  che se avessi incontrato quando mi sentivo un processato al patibolo che con serenità guarda la morte in faccia, avrei capito prima che si trattava solo di capricciosa rassegnazione e che sarei andata ovunque anche se sentivo sarei andata da nessuna parte.
Questa vita che proprio non so cosa significhi, non so chi mi faccia incontrare e perché, non so perché  mi viene incontro lei così, con qualche mostra casuale in una delle città mondo del mondo.

E io lo dico, sì: questa vita è tutta vita. E non lo sapevo. Ci sono promesse da svelare e il mio nome segreto scriverà per molto tempo tantissime cose. Sento di poter scrivere che le cose saranno solo in salita, questo perché nel momento in cui saranno in discesa, semplicemente invertirò la clessidra, e con lei la prospettiva.





                                           Tutta vita è, basta essere tête de noeud.



mercoledì 19 novembre 2014

lunedì 17 novembre 2014

Una cioccolata e un caffè

AVVERTENZE: non è un post interessante.

L'atto di incontrarsi per una cioccolata è uno sfizio tutto femminile.
Un gruppo di ragazze che si incontra intorno una cioccolata ha il pretesto per raccontarsi la vita, l'intimità, i pensieri. La densità della bevanda è la stessa cbe intercorre nell'intreccio della loro vita, il calore delle mani che stringono la tazza è lo stesso dei loro abbracci. Non c'è conversazione più sincera che quella che si svolge davanti la cioccolata.

Le ragazze che si danno appuntamento con un cocktail non hanno la stessa intensità. Immaginatevi la scena: suppongo che, come me, per una cioccolata immaginiate uno spazio dai colori caldi e le luci soffuse, uno spazio accogliente e intimo; mentre per un cocktail che ne so, un locale da apericena con la musica a palla e dove c'è bisogno di gridare per sentirsi.

In buona sostanza, siete fortunate se avete qualcuno con cui prendere una cioccolata.

Così come per il caffè: state pur certi che se vi inviterò mai a prendere un caffè, è perché vi voglio bene, senza mezzi termini.
Difatti ho molti caffè in sospeso, per ora: devo recuperare un bel po' di persone.
A queste persone posso dire: abbiate pazienza, non ho avuto testa, ma di certo adesso recupererò tutta la nostra companatica caffeina.

Incontrarsi al bar, parlarsi, raccontarsi la vita dall'ultima volta che l'avevamo lasciata, aggiornarsi e magari parlare anche del futuro.
A volte ci penso e con sentimentalismo dico che certe cose resistono, con un po' di fatica, ma ci sono.

Piccoli atti di umanità che valgono una rivoluzione:
ora e per sempre, resistenza!

sabato 1 novembre 2014

Polifemo

Per quale offesa, o Polifemo, tanto
Gridasti mai? Perchè così ci turbi
La balsamica notte, e i dolci sonni?
Fúrati alcun la greggia? o uccider forse
Con inganno ti vuole, o a forza aperta?
E Polifemo dal profondo speco:
Nessuno, amici, uccidemi, e ad inganno,
Non già con la virtude. Or se nessuno
Ti nuoce, rispondeano, e solo alberghi,
Da Giove è il morbo, e non v’ha scampo. Al padre
Puoi bene, a Re Nettun, drizzare i prieghi.
Dopo ciò, ritornâr su i lor vestigi;
Ed a me il cor ridea, che sol d’un nome
Tutta si fosse la mia frode ordita.
Odissea, libro IX

Gentili spettatori, oggi il Bel Paese offre la visione Polifemo della giustizia: Stefano Cucchi non ha assassini.

Si sa che dai tempi di Adamo le costole tendono a staccarsi dal corpo da sole, si sa che i lividi ce li dipingiamo addosso in attesa di un tatuaggio vero, come i bambini.
Nulla di tutto questo è la prova di un assassinio.
Anzi sì: se aspettate un po', gli attori si alzano e ricominciano la scena.
Di nuovo,
ancora,
sempre.

Perché Stefano Cucchi non è certo il primo Polifemo con una storia del genere.

E dato che non ci sono prove, io non ho parole sufficienti.



venerdì 17 ottobre 2014

Manifesto Della Resa #2

...Una lotta a gonfie vele, tu m’hai rotto le parole e non ti capisco al volo, se non voli con me …
Molteplici saranno i motivi e le dinamiche per le quali cambierò nell'arco di tutta la mia vita.
L'ho già fatto, tengo dei diari proprio per meravigliarmi di me e del mio passato e per ricordarmi non tanto chi ero, quanto perché ora sono. Ci pensate mai? Vi capita di avere appigli lasciati dal vostro passato che vi permettono di capire? Per ora io mi bombardo di domande sul perché, come sia successo che io adesso sia così, a volte non mi è chiaro nonostante le mie tracce d'inchiostro sulla carta, e sto lì con piccole mine nel cervello in attesa di esplodere dentro nuovi dubbi.

Mi ritrovo ad arrendermi facilmente, ogni volta. Questo succede perché io gli ostacoli li ho sempre evitati, qualche volta li affronto e di recente me li sono chiamati addosso.
Ed ecco che mi arrendo anche stavolta:


  • Non mi troverete puntuale. Il tempo avanza e io sto sempre indietro. Tuttavia arrivo, e se vi dico che verrò, io ci sarò.
  • Non sto nel caos. Fisico
  • Non so parlare. Non è la mia dimensione. I miei pensieri stanno bene dentro la scatola cranica e quando è necessario che escano fuori succede il finimondo. Sì mi piace parlare, interagire, le relazioni mi piacciono, l'uomo è una bella cosa, vale la pena viverla. Ma non riuscirò mai a dare tutta me stessa a voce.

Non è che io sia brava con le parole. Penso piuttosto loro siano brave con me, sanno come prendersi cura della mia persona. Se nella mia vita dovessi solo parlare, combinerei un macello.
La parola è una cosa inspiegabile per me, quando colgo quella giusta per una determinata occasione o in un qualsiasi contesto è un'illuminazione, una magia. Tutto gioca dentro il cervello, in silenzio.
E' per questo che ho deciso di scrivere: la parola più funzionante è quella detta in silenzio, quella che passa dagli occhi e non dalle orecchie.

Perciò mi arrendo.
Siateci, Umanità, questo non è un invito a rimanere fuori dalla porta. Io imparo dai rapporti ogni giorno, non è un post di misantropia annunciata.
Ma non sarò capace di molte cose, nonostante ci provi quotidianamente ad essere come tutti.
Chi ha fortuna, legga.

Pace e fiumi d'inchiostro per tutti voi,

Gea.


domenica 20 luglio 2014

lettera dalla Missione

Io più di voi credo nel destino. Non c'è niente a cui creda di più.
Credo fortemente all'idea che siamo nati per svolgere un ruolo e che questo ci aiuti a glorificarci. Per questo il mio ruolo lo svolgo così bene, perché io amo quel che faccio, soprattutto quando serve a uno scopo nobile come quello di difendere il proprio paese. Non per essere patriottici eh, che poi divento noiosa e non è l'effetto che voglio ottenere, ma non c'è niente di più commovente che amare il proprio paese. D'altronde, non difendereste la vostra famiglia se un'orribile minaccia rischiasse di farle del male?

Che vita eccitante, la mia! Sapeste che salti! Quante porzioni di cielo e di terra che ho collezionato! Loro me lo dicono, le loro voci serpeggiano dappertutto: mentre sistemano il mio prossimo involucro della grande anima che sono, mentre mi imbarcano, mentre il volo inizia e anche quando mi lasciano proseguire per la mia strada: è un lavoro giusto, è un territorio che deve essere solo nostro, va difeso dal terrorismo.

Cambio corpo molto spesso eppure come tutti voi umani, in fondo sono sempre uguale. Questo mi è di gran vantaggio, poiché per ogni volta che mi involo e poi scendo giù a terra, vedo sempre cose nuove e nel frattempo archivio immagini e pensieri nel grande serbatoio che è la memoria. Da corpo a corpo non dimentico chi sono e qual è la mia missione: difendere

Certo, qualche volta mi incuriosisco. Guardo il mio adrenalinico atterraggio su teste, case e ulivi e mi chiedo dove quei farabutti si nascondino, questi terroristi parassiti che rischiano di rovinare il mio paese, che tanto ha lottato per conquistare onestamente  quei territori. Sì, me la faccio qualche domanda, di tanto in tanto, perché quelli che faccio saltare come coriandoli in una festa mi sembrano, a colpo d'occhio, uomini, donne e bambini come quelli del mio nobile paese. Ieri ho fatto "buuuuuuuu!" a dei bambini che giocavano con un pallone proprio uguale a quello dei figli dei quali genitori fanno il tifo per me, guardandomi dall'altra parte, quella giusta, della nostra terra. Che ridere! Dovevate vederli: ci sono rimasti. Tanto. 
Comunque, loro dicono che sono proprio questi i terroristi. Allora sto tranquilla, ché come sempre svolgo con bravura il mio lavoro.

A me piace la mia vita. Parto sempre, parto a prescindere dal motivo: politico, economico, religioso o espansionistico. Io sono la risposta giusta a tutto e quindi mi faccio i viaggi migliori. 
Certo che questi terroristi non mollano mica, però. Più gli faccio visita e più i loro cuori mi ricordano che non se ne andranno, ma che modi, insomma.

Non sanno che siamo destinati? Che ognuno ha un ruolo in questo mondo?
Io volo, scendo e loro saltano, e poi se ne vanno. Così deve andare. Invece no. Loro fanno radici, come certi ulivi.

Io sono fiera di me, il mio ruolo lo seguo. vado dove va il mio destino.
Perché sono brava e seguo gli ordini e i veri valori.
Non come certi, qui in questa Striscia di terra. 
Imparate dunque, chi ha ragione, voi che state indifferenti a casa, lontani (e neanche tanto).

Vostra,
Anima Bomba.





Genocidio. Striscia di Gaza, 2014.
Palestina resisti. 

venerdì 11 luglio 2014

Disamistade - Fabrizio De Andrè





Un pensiero alla Palestina, in questo angoscianti giorni di fuoco, ché l'orrore lo sento fino a qui.

sabato 5 luglio 2014

Dopo: ora.

Incredibile.
Questo blog ce l'ho dal primo anno di liceo e adesso ho finito. Sono fuori. Maturata, diplomata, ata ata.
Assurdo.
Non lo so cosa senta. Non voglio perdermi in parole malinconiche o in sfoghi eccessivi. Di certo sono contenta e di certo molte cose mi mancheranno. Così come molte cose adesso mi faranno paura, non ho voglia di sciorinare parole su parole a riguardo.
Però
wow.
Ora il mio Dopo avrà inizio. E' da quando è iniziato l'anno che penso al dopo. Ovviamente ho cambiato idea lungo il percorso e finora l'idea finale è una.
La lista di cose che adesso dovrò, meglio vorrei mettere in atto sono le seguenti:

  1. Trovare un lavoretto
  2. Prendere dimestichezza con la bici
  3. studiare per la patente
  4. scrivere
  5. coltivare l'artigiana che è in me
  6. scrivere
  7. scrivere
  8. qualche viaggio piccino picciò chissà dove
  9. scrivere
  10. scrivere
L'ultimo punto è anche quello infinitesimale. Non so chi tra voi perspicaci avrà notato che non c'è nessuna università nominata nella lista. Ed ecco ciò che penso:
mi piacerebbe studiare. Sai, fare storia dell'arte per esempio. Quale facoltà sarebbe? Non so, prima che trasformassero l'università in "scuola" l'avevano accorpata a lettere. Quindi suppongo lettere. Ma al momento manco mi informo. Sì perché insomma, comunque pensavo... sì pensavo di fermarmi un anno.
SSSSSSSSSSSSSSSSSSBAM.
Ehilà, gente originale, stavolta mi rivolgo a voi! Voi che ad ascoltare questo, vi si trasforma l'espressione si da parzialmente interessata a sinceramente preoccupata:
Eeeeeeeeeh ma sai, Gea, sai, quando ti fermi un anno, è difficile riprendere.
Oppure, varianti teatrali in cui vi improvvisate profeti e con tragicità dite:
Mmmmh, insomma, Gea guarda che tu non riprendi se ti fermi ora.
O ancora, gente apprensiva:
Batti il ferro, ora che è ancora caldo! 
OK.
Ora il punto è questo: ho atteso con tanta impazienza questa fine del liceo per far scattare il Dopo, perché ho tante idee che per colpa del tempo da impiegare in altro, della pigrizia e della svogliatezza, non ho messo in atto e ho rimandato al Dopo. Quello che sostengo io è questo: mi piacerebbe studiare, ma non ora. Sarebbe uno spreco di soldi e di tempo. Dunque per incominciare di certo ora non incomincio.
Lo credo possibilissimo, conoscendomi, che dopo un anno sarebbe tragico, potrei non farlo. Ma,ehi, la novità è questa! Non avrò sprecato il mio tempo. Quindi, perché dovrebbe essere così tragico se per caso decidessi di non riprendere? Perché il pezzo di carta in più va sempre bene? Chi se ne frega. Se avrò realizzato quello che voglio, almeno in parte, almeno in piccolo, io sarò felice.
Sono discorsi campati in aria? Ancora non so che cosa sto dicendo? Va bene. Io mi sveglio la mattina e so di non sapere ancora un cazzo, eppure vivo lo stesso proprio perché so che posso sempre imparare. Il peggio deve ancora venire.
E dai,io ho la porta aperta, si accomodi.
Sto cercando di non tradirmi per sempre e per fare ciò ho bisogno di impratichirmi nella vita, continuando però a sognare come una deficiente. E i soliti discorsi già ristagnano nella fogna del mio cervello. Lo scrivo in questo post per mettere in guardia chi  rischia di avere reazioni come quelle sopracitate: non chiedetemi cosa farò.
Trovare un lavoro, anche piccolo, è difficile: lo so.
Strana questa storia della bici, perché, non ci sai andare? Ho imparato l'estate scorsa, è una storia curiosa questa della bici, se vuoi te la racconto...
Eh sì, così con la patente sei più indipendente! Una minuscola parte di indipendenza,ma sì, evvai.
Bello, e cosa scrivi? Magari capiterà un giorno in cui lo scoprirai
Ma guarda che l'artigianato sta morendo, che vuoi farci, un lavoro? Senti, sparisci in un angolo e muori?
Belli i viaggi, tutti li vorremmo fare! Peccato i soldi! Certo, certo, infatti, ci mancherebbe. A che ti servono i soldi se poi non sai adattarti? 

Ho finito il liceo. Sono giovane, ingenua, ignorante, sognatrice e fessa. La vita è piena di complicazioni, il mondo del lavoro è un marchingegno di cattiveria, frustrazione e ingratitudine, la vita pratica è piena di tasse e bollette da pagare e polvere da spolverare ed è stancante, l'arte è bella ma non campa, scrivere è nobile ma il mondo dell'editoria è un mostro che mangia tutta la tua voglia di comunicare, e alla fine rischi di sprecare il tuo tempo.

Grazie, gente, grazie. Ora che mi avete propinato le vostre dosi di frasi di convenienza, raccomandazioni, proverbi profetici, scorci delle vostre menti così splendidamente inquadrate, credo di essere più cosciente di me e di ciò che mi aspetta. Mi avete davvero salvato.
Per carità, seguo alla lettera ciò che consigliate, solo di tanto in tanto faccio collane e "poesie", non temete.

Un mio pensiero ora va ai miei prof, che mi hanno raccomandato di andare via e di studiare. Vi amo vi adoro e vi copro di baci e non sputerò su ciò che mi avete insegnato, perché siete andati oltre i libri. E alla fine dell'orale mi avete raccomandato il meglio. Io farò del mio meglio, e non perderò me stessa. 

Il Dopo è iniziato. C'è molta strada da spianare, e io sono qua e ho voglia di farlo.
Ciao mondo.

martedì 13 maggio 2014

"Museica" e altri appunti

·        Una vita piena è una vita politica, sociale, spirituale, intendendo la spiritualità fuori da ogni religione e non solo dentro, ma soprattutto individuale. Cosa intendo? Intendo dire che ogni tipo di ambizione è dannosa se non si dà spazio a tutto, nella propria miserabile esistenza. Sei un politico carismatico in carriera, ma sei un coriandolo di uomo dal punto di vista relazionale? Parli di uguaglianza, diritti per tutto, antimafia anticorruzioni di ogni tipo, e corrompi le tue relazioni? Fai schifo, stop. Dare tempo al tempo, avere coraggio di viversi, di vivere con gli altri e  di saper stare soli, al momento opportuno. Bisogna avere coraggio di andare oltre gli slogan e parlare con il cuore e agire di conseguenza. Guardo intorno e vedo che non è solo la tecnologia a logorare i rapporti umani, bastano solo gli umani. Io mi guardo e penso che quasi tutto mi manchi, e se non dovessi dedicare tempo ad altre cose, tempo che mi lascia solo un po' di tristezza e stress da elaborare, penso che lotterei in tutti i modi contro quella parte di me che si è abituata al niente di cui mi circondo. Lo farò, lo prometto. Questa è una campagna elettorale per me stessa. Mi voto?
·        La primavera è incredibilmente bella. Peccato che questi fottuti esami di stato si debbano fare in jeans a giugno, con il caldo che fa sudare persino lo stucco del tetto (e si scolla). Non vedo l'ora di uscirmene alla stessa misura in cui sono terrorizzata perché non mi sento per niente pronta. Sono andata indietro con la memoria un sacco di volte ai miei esami delle medie. Ho cercato di ricordare l'ansia che mi pervadeva perché ogni esame è un'ansia, ogni esame è una messa in gioco immensa; tralascio appositamente il discorso che gli esami delle medie erano più facili perché innanzitutto per me non lo furono al tempo, secondotutto perché l'ansia è ansia. Credo che stia scavando nella memoria per immaginare cosa mi aspetti, sebbene "immaginare" non sia il verbo adatto, quello lo faccio dall'inizio dell'anno, la gente me lo ribadisce dall'inizio dell'anno, piuttosto "prevedere". Ma proprio questo non è una cosa che posso fare al cento per cento. E in generale, non ne posso davvero più.
·        Museica è il nuovo album del signor Rezza Capa, lo ascolto da giorni perché da giorni lo "studio", cerco di capirlo. Mi ricordo, quando è uscito "Il Sogno Eretico", che qualche mese dopo, in una intervista, CapaRezza aveva anticipato dicendo che avrebbe scritto qualcosa di completamente diverso, che cinque album erano sufficienti per esprimere il suo pensiero politico e che avrebbe parlato di altro. Mi ricordo che sono rimasta molto incuriosita e perplessa, mi chiedevo cosa potesse scrivere. All'inizio questo nuovo album non mi ha fatto impazzire, e continuo a pensare che quel fantastico giocoliere di parole acuto e brillante che abbiamo sempre conosciuto sia un po' scemato (non scimunito) con questo album, cosa che mi dispiace alquanto. Però ora ho capito che in realtà mi piace, checché se ne dica: è come se CapaRezza avesse deciso di zoommare l'attenzione sulla sua vita, sulla nostra, parlando di problemi più "personali" se così si può dire, che in qualche modo riguardano tutti noi, problemi che affrontiamo un po' tutti, cose di cui ci lamentiamo. Ho un sentimento contrastante, per questa scelta (sempre che abbia capito bene): da un lato è una cosa bella, perché comunque lui rimane CapaRezza, un artista capace di non banalizzare mai, perciò anche queste riflessioni comuni sono viste in chiave originale; dall'altro mi domando il perché. Non il perché di questa scelta, è più che ammissibile che un artista decida di sviluppare un'altra via di narrazione e decida altro, ma il perché me lo pongo sul fatto che abbia deciso proprio questi argomenti, sono tematiche che davvero riguardano tutti. Devo approfondire perché molte cose nemmeno le capisco, il che presuppone che magari avrò la rivelazione più in là, come è già successo, e tutto diventi più affascinante di prima. Dopo cinque album politici, che tanto ci piacciono, un nuovo punto di vista. In effetti è così che funziona per tutti: cambiare è lecito, scuotere dissensi e reazioni svariate è ovvio, fare una scelta è giusto. Chissà a cosa porterà questo album, me lo chiedo perché a me piace molto CapaRezza, è sempre stato uno spunto per riflettere. Vi invito ad ascoltarlo, a primo impatto non piacerà, e avrete anche ragione. Ma se andate un po' oltre credetemi che non tutto è da buttare.
·        Sono molto belli questi puntini dell'elencazione
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·           
·        :)




mercoledì 30 aprile 2014

Sennò mi prende

E' possibile che io stia impazzendo.
C'è da tenerlo in considerazione e non c'è motivo di vergogna, in questo. Tuttavia qualche volta mi capita di preoccuparmi.


Gli esami si avvicinano. Penso e ripenso e ripenso e ripenso a come potrebbe andare l'orale, cerco un'idea per la tesina, studio e per la maggior parte di tempo faccio solo finta.
Sono curiosa di vedere cosa c'è nel mondo reale, appena fuori dal liceo, e sebbene non sappia ancora quale piega prenderà il mio futuro, ho capito quale che intraprendere per iniziare.


Crimea, cosa ti accade? Perché ti accade? Vorrei pensarti di più, vorrei informarmi, capire che cosa sta succedendo, perché questo sentore a intermittenza di guerra mi fa venire i brividi, ma non riesco ad andare al di là dei telegiornali. Studio storia e ho il cervello appannato, mi sembra di vedere doppio e forse è così. 


Io, persona inconcludente, posso solo attirare persone inconcludenti.
E da persona inconcludente, non concludo nemmeno.


Sennò mi prende

























sabato 15 marzo 2014

Merci Italie, Italie je t'aime: cosa passa dall'esabac

Il faut mieu avoir la tȇte bien faite que bien plaine
      è meglio avere una testa ben fatta che piena
-Montaigne, Les Essais
                                                                       

 A 96 giorni dall'inizio degli esami, mi rendo conto di quanto, se solo la scuola in Italia fosse valorizzata, sarebbe una tra le migliori del mondo intero.
Faccio parte della classe "ESABAC" della mia scuola e conseguirò al doppio diploma, in lingua francese (già scritto, ma ribadisco), e dato che gli esami si avvicinano, sono iniziate le simulazioni di esame scritto. Com'è ovvio un doppio diploma implica il doppio della fatica, ma forse questo lo potrei sopportare (sebbene già ho un dizionario di imprecazioni pronte all'uso, per i futuri esabaccandi sarà molto utile). L'unica cosa che non riesco a tollerare, e siamo solo all'inizio, è la metodologia. 
Quando si fa un saggio breve di italiano, di solito bastano due fogli: uno per la brutta, l'altro per la bella; ci sono i documenti, non è obbligatorio inserirli tutti, ma sarebbe preferibile, bisogna capire la tematica e svilupparla. Ci sono anche da noi regole da seguire ma se si ha l'abilità, spesso è possibile anche infrangerle. 
In Francia, no. Non in Francia. Non all'esame di stato francese, no no. Un fottutissimo saggio breve di letteratura deve obbligatoriamente:
  • Essere di 600 parole (da contare, mi raccomando!- sarà il Santo Graal del baccalaureat scoprire se le contano una per una, ma per sicurezza si contano-) tra introduzione, sviluppo e conclusione. Introduzione: 100 parole in cui devi sistematicamente sviluppare una scaletta introduttiva in cui introduci il tema,la problematica e i documenti; sviluppo: 440 parole, in cui, per l'appunto, sviluppi tutti i punti chiavi introdotti nella precedente; conclusione: 60 parole in cui fai il riassunto di ciò che è scritto prima. Tra le tre parti deve saltare un rigo e ogni paragrafo dello sviluppo deve essere riconoscibile perché per ogni punto sviluppato, si va accapo. Qual'è il senso di tutta questa rigidità? Perché scrivere così? 
  • Costruire un plan (mappa concettuale) che deve essere solo nel brouillon (brutta copia) per dimostrare che hai ragionato su ciò che scrivi. Questo deve, come già detto, esserci obbligatoriamente perché sono punti. Anche queste cose hanno un metodo solo per essere svolte, perché altrimenti non dimostri di ragionare.
  • Il modo di citare i documenti, deve essere ben preciso secondo un metodo (che ho rimosso) perché la problematica posta deve essere legata attraverso i documenti da "assi" precisi, ovvero da argomenti mirati.
E ovviamente c'è anche il saggio breve di storia, il quale almeno è solo di 300 parole (ma il metodo è più o meno lo stesso) e l'analisi del testo di letteratura. Nella quarta prova (sì, perché data la presenza di questo progetto farò, quindi, una quarta prova) dovrò fare sia letteratura che storia, sarà una giornata luuuuuuuuuuuuunga e faticosa, già provata nelle simulazioni.

Metodo, catalogo, parole chiave, struttura, sistema, ordine, meccanizzazione. Tutto questo è un esame scritto di francese. E il contenuto?
Limitatissimo, di scarso conto. Ho assistito, grazie al gemellaggio, alle lezioni in Francia, e per quel poco che ho visto ho notato che lo studio non è intenso come lo facciamo noi, e non intendo certo da persona a persona (io non studio sebbene sia italiana) ma intendo, come spiegarlo, come approccio dei professori e studenti, come attenzione posta ai dettagli dello studio. Non farò di tutta un'erba un fascio, per prudenza e per evitare stereotipi o pregiudizi, magari era la classe con la quale avevamo gemellato che era particolarmente impreparata sulla letteratura, ma è stata una cosa che abbiamo notato anche quando loro sono venuti qui: di letteratura generale ne sapevano ben poco, e quel che sapevano era qualcosa di accennato. 
Quello che voglio dire è che credo che sia tutto frutto di un sistema didattico che punta al metodo e del contenuto poco importa. Questi saggi brevi, che sono gli stessi che ogni anno migliaia di maturandi francesi fanno, arrivati anche loro all'ultimo anno, sono troppo sistematici ma richiedono poco pensiero, e ne ho conferma giorno dopo giorno, per ogni approfondimento che facciamo a riguardo. Sì le mappe concettuali, sì le righe da rispettare, sì i numeri, sì l'ordine dei pensieri da sviluppare ma poi, gira che ti rigira, finisci per scrivere sempre le stesse cose.
Inutile, da parte mia, lamentarmene in classe. La mia professoressa è un'amante accanita di questo progetto "esabac" e per qualsiasi replica ha sempre la risposta. Quello che io vorrei dire è che questa cosa mi fa semplicemente schifo. Non è il mio metodo, non è il mio modo di scrivere e non è il mio modo di ragionare sulle cose. Non penso che, una volta ricevuta la brutta copia all'italiana, il professore possa avere dubbi sul fatto che lo studente abbia ragionato su ciò che ha scritto, eppure non c'è bisogno di mappe né di numerazione di ogni singolo pensiero che hai intenzione di scrivere. Quel che immagino, lì nella bella Francia, è un'enormità di studenti studiosi e diligenti che però, al di fuori dei loro schemi, non sanno parlare di qualcosa. Ripeto: non sarà per tutti così, me lo auguro, ma ho visto con i miei occhi e sto notando adesso tramite i miei sforzi che il metodo didattico è diverso, e forse persino peggiore del nostro. 

Detto questo, piccolo sfogo su ciò che mi attende e su quanto già mi costi fatica, il mio pensiero va a chi mi diceva, non ricordo quando, che l'istruzione italiana "un tempo" era la più invidiata da tutti. Ora inizio a crederci, ora inizio a capirlo. E proprio per questo ringrazio immensamente lo stato e la politica italiana per aver reso tutto questo un inferno, per aver messo la scuola sempre all'ultimo posto nelle priorità tra i beni e le risorse da tutelare, per aver mandato professori e di conseguenza studenti allo sfacelo. Grazie di cuore. Ora sì, è meglio la Francia per le risorse che dà, ma come mi sento ricca io nemmeno la mia adorabile "gemella". 
E' meglio la Francia, la Germania, l'Inghilterra, molto meglio il resto del mondo e molto meglio andarsene fuori dall'Italia, peccato che la cultura che risiede in ogni piega di questo paese non c'è da nessuna parte, e che questa cultura, se ben insegnata e ben assorbita, come spessissimo succede, avrebbe potuto farci andare ovunque, se tenuta bene in considerazione, e farci conquistare la Francia, la Germania e tutto ciò che avremmo voluto.

Merci Italie, Italie je t'aime. 

sabato 1 marzo 2014

Parole Vapore

Quando ero alla scuola media, una volta, una delle tante, hanno organizzato un incontro con degli educatori per parlare dei rischi del fumo "No Smoke No Cry", roba da denuncia per la tristezza dello slogan, tentando di fare presa su di noi con storie di adolescenti in crisi, storie che sfioravano quasi la drammaticità più nera e catastrofica, bombardandoci di immagini di famosi personaggi e polmoni anneriti. Nel frattempo, dall'altra parte della fila dei banchi, ognuno di noi era impegnato a fare         altro, conoscendo i mali del fumo e fregandosene alla grande. Non si rinuncia alla crescita e per crescere si fuma perché fa figo. Fa figo. Senza drammi o motivi psicologici particolari. Magari poi passa, magari poi no. 

Non si possono contare le volte in cui mi è capitato di stare in compagnia e sentire intavolare discorsi sul fumo, sulla categoria di persone e lo studio approfondito dei modi di porsi di fumatori e non fumatori. Ovviamente il risultato è più o meno lo stesso: i non fumatori rompono i coglioni, i fumatori se ne fregano. 
Io, da non fumatrice, mi astengo dal rompere i coglioni, sebbene non nascondo che mi dispiace moltissimo. 
Mi astengo perché la regola de "la vita è mia non ti ho chiesto il tuo parere faccio quello che mi pare",la rispetto parecchio, perché è vero così.  E poi perché che senso ha insistere se le persone hanno già fatto la loro scelta?
La cosa divertente è che molti dei fumatori si infastidiscono in partenza nel sentire qualcuno pronunciare "eh sì ma fumi troppo" oppure "di nuovo?! Te ne sei fumata una due secondi fa!" o il più semplice, sempreverde "dovresti smettere di fumare tanto" perché c'è davvero la percezione di un obbligo gratuito, non esiste in alcun modo che tu, salutista del mio cazzo, debba venirmi a fare la ramanzina sul perché o come o quando o quanto io debba fumare, è una mia scelta, lo so che fa male ma sono cazzi miei, permetti? Io non vengo a dirti cosa devi o non devi fare, e poi *suoni di sottofondo*
Hanno ragione. Avete ragione, voi categoria di fumatori. Infatti prometto solennemente di non rompere più i coglioni a nessuno, non starò lì a fissare il vuoto perché se mi arrivano folate di sfumazza ogni due o tre secondi dirigo lo sguardo verso chi l'ha provocata immaginandomi i raggi x che osservano l'ispirazione e l'espirazione del fumo che vi passa dai polmoni e rilascia particelle di catrame che lentamente si depositano nel vostro organismo, non lo farò più, giuro prometto
Si potrebbero scrivere barzellette se non addirittura intere commedie di vita umana sui dialoghi tra un fumatore e un non fumatore. Non fumatori, tra l'altro, che magari non fumano ma sono dipendenti da altre milleventordici cose che comunque danneggiano la salute, quindi chi è che predica bene e razzola male? Eh? D'accordissimo, dunque: ognuno alla sua strada. 
Tuttavia, non posso fare a meno di pensare all'altra faccia della medaglia:
la cosa affascinante di chi crede fermamente in tutto ciò che fa e che dice, chi si sceglie la vita e di questa scelta ne fa abitudine e routine ed è capace di spiegarti perché, è che ogni singola cosa, assume un principio preciso. Così chi fuma, dalla sigaretta a qualunque cosa si possa ispirare per combustione, sa spiegarti sviscerando ogni aspetto sul perché si sente intaccato nel profondo della sua libertà di espressione e di vivere se qualcuno gli tritura i neuroni su quanto male faccia fumare, giusto? Bene.
Nel mondo ci saranno sempre fumatori e non fumatori, entrambi con principi che sono pressoché uguali per tutti. E la libertà dei non fumatori? *Benissimo, Gea sta sbarellando del tutto, magari chiudo che mi secca leggere, ecco.*
Ho tantissimi amici a cui tengo in maniera indicibile che fumano come ciminiere, e proprio come ciminiere lo fanno ininterrottamente. Superando il primo gradino di ovvietà riguardo la libertà toccata da chi fuma, nei confronti di chi non lo fa, ovvero che stando in un luogo pubblico mi affumico senza aver fumato e questo potrebbe darmi fastidio (cosa superata, evviva!), si arriva ad un altro punto, più pernicioso, intricato e forse che lavora solo nella mia testa, ma dato che sono nel mio blog, mi permetto di esprimerlo: lo sforzo che faccio per non rompere ogni volta la sigaretta&affini dalle mani delle persone che conosco è immenso, perché so che farei un torto (più o meno, più o meno sì). Ma il torto che mi fanno loro di sbattermi in faccia la loro strafottenza nei confronti della vita è quasi dolorosa. Mi sa che la soluzione, per me, è quella di fregarmene il meno possibile non del fenomeno in sé, ma delle persone. Ammetto che non abbraccio la causa universale, non me ne frega più  di tanto se un miliardo di persone del mondo fumano inconsapevolmente, per loro mi basterebbero le pubblicità di sensibilizzazione che non sensibilizzano proprio niente, dato che se proprio si volesse cambiare bisognerebbe sbattere loro in faccia la verità: "Stai firmando la tua precoce condanna a morte! Cos'è, vuoi fare la vita da rockstar?! Bè allora quanto meno mettiti a fare rock, o fai qualcosa da star!! E non ci credo che nel letto di morte non rimpiangerai tutto questo!!",perché è questo il problema mondiale: le parole sono loro stesse diventate di fumo. Perciò io penso solo ai cari che conosco, sono loro che mi affliggono.Sarò esagerata, sicuramente sarò esagerata, ma il discorso è semplice e non necessita troppe spiegazioni: sapere che una cosa come la dipendenza dal fumo può causare la morte prima di quanto possa biologicamente avvenire, e vedere quanto poco possa importare, è avvilente.
La nostra intera esistenza è costellata da dolori, delusioni e sofferenze insopportabili che ci rendono dipendenti da qualcosa, speranza o paura che sia, e questo ci rende fragili, stupidi e per la maggior parte del tempo inutili, c'è davvero bisogno di diventare dipendenti da qualcos'altro? Perché? Perché anestetizza? Perché potete dormire la notte?

Questo non ha assolutamente intenzione di essere un post moralista o sensibilizzatore. E' solo una disinteressata opinione al riguardo, perché sento sempre inni alla libertà di persone incatenate da dipendenze che non siano quelle che tramite paranoie, seghe mentali, paure, pensieri, riflessioni, dubbi e pensieri di qualsiasi tempo possiamo creare di nostro. Siamo tutti dipendenti da qualcosa, io per prima. E questo fa male, spesso non fa dormire. Ma mi rende umana. Mi manca il coraggio per tantissime cose, ma in fondo, quando sento sempre le stesse cose, mi rendo conto che non mi manca il coraggio di essere quel negozio di cristalli in cui miriadi di elefanti entrano sempre. Ho il coraggio di essere una cosina senza coraggio.

Cari fumatori,
La mia libertà lesa è quella di non potervi ricordare che, da scassaminchia quale sono, voi state morendo.
E dato che di attimo in attimo invecchio anche io, anche io morirò. Inoltre se solo le conosceste tutte, potreste rinfacciarmi tutte le dipendenze mentali che mi sono procurata da sola e contro le quali lotto ogni giorno che proprio perché tali mi portano quasi sempre al fallimento. Ma, almeno che io non stia già covando una malattia fulminante o accadrà in futuro, se non sarò investita in qualche incidente, in media potrei vivere più di voi. Non voglio farvi pressione sulla cosa, perché rientrerebbe nel "ma come ti permetti ma chi ti senti ma chi t'ha detto niente ma non ti pare di stare esagerando non ti sembra che sia più corretto farti i cazzi tuoi ma chi ti ha interpellato ma insomma cosa vuoi". E solo che non posso fare a meno di concentrarmi su una cosa: ma davvero non vi importa?

Va bene la serata, va bene il momento di noia, va bene "ogni tanto ci sta".Ma, sul serio: non ha nessuna importanza?
Forse dovremmo tutti avere il coraggio di essere esseri umani e di affrontare tutto. Tutti. Senza cercare sempre giustificazioni anestetizzanti. Non so, magari ne vale la pena, in fondo.

Quanto vale l'anestesia?



lunedì 17 febbraio 2014

E Il Pesce Disse Al Mais

"Abbiamo adattato i pesci a nutrirsi di mais" 
Ora scrivo parole che non andranno da nessuna parte, ma tentare non nuoce. Almeno questo, non nuoce.
Sono parole spese già da altra gente, in altre occasioni, magari quando tenete la televisione accesa ma in realtà non state ascoltando, oppure quando cambiate direttamente canale perché "che due coglioni, le sappiamo ste cose" e le ignoriamo beatamente.
Il cibo che mangiamo, è un prodotto ricavato da uomini che ragionano come ciminiere, pensano con i soldi, giocano a fare dio, tengono in pugno la dignità di animali e lavoratori e sintetizzano il cibo per risparmiare e darci un prodotto che sappia di cibo, ma che in realtà non lo è.
Cose che avete già sentito, vero? Quindi chi se ne frega, andiamo comunque al primo fast food che ci viene in mente e consumiamo un pomeriggio lì.
Non ho intenzione di denunciare o accusare, anche fossi un'attivista ambientalista animalista e qualche altra "lista" probabilmente mi concederei una trasgressione o due, il mio scopo non è nemmeno quello di sensibilizzare, nello scrivere questo. Voglio solo descrivere la mia indignazione non solo per le immagini e le realtà che ho visto (e che vedrete anche voi, metto a fine pagina il documentario che ho visto anche io), ma soprattutto per l'indifferenza con cui ogni giorno andiamo alla larga del problema. Se solo aveste perso un parente per colpa di un hamburger, o aveste un genitore che lavora con la morsa al collo perché non ha un briciolo di diritto su ciò che produce, sul lavoro per cui si spacca la schiena, o se solo foste una persona con necessità di lavoro e per questo foste disposti a fare anche il lavoro sporco, senza però potervene lamentare o denunciare, allora penso, perché ho provato a immaginarlo anche io, che vi scandalizzereste anche voi.
Se andassi in giro a raccontare grosso modo la realtà, per quel che conosco, di ciò che c'è dietro quello che mangiamo, tutti direbbero "sì, lo so, è disgustoso" ma la cosa finirebbe lì. E' questa la rabbia maggiore che mi ha spinto a scrivere questo post.
Non so quanti di voi si pongano a volte, domande su quante cose vadano storte nel mondo, non so quanti di voi sentano nel profondo di appartenere allo stesso identico mondo, pianeta, comunità mondiale e per questo, con la massima discrezione e un minimo di interesse, si spingano a informarsi perché "dopotutto, perché se faccio parte anche io di questo posto strano e incasinato, non dovrei saperne un po' di più?"; non so nemmeno quanti di voi vogliano sinceramente cambiare le cose, quanti siano disposti a rinunciare alle frasi retoriche e provare a cambiare, ovviamente partendo dall'individuo, ché non si cambiano le cose facendo solo baccano, talvolta basta fare silenzio. Comunque io scrivo a tutti, nella speranza di nulla, solo scrivere a tutti. Se in testa si ha un muro, non sarò di certo io ad abbatterlo.
Si sentono parole come "dignità" "moralità" ed "etica", nella mia scuola le hanno anche insegnate (con una certa ipocrisia, tral'altro), ma scommetto che nessuno le potesse immaginare totalmente infrante, schiacciate, ridicolizzate e umiliate all'interno di un supermercato e dei suoi prodotti che consumiamo ogni giorno, vero?

La dignità di uomini e animali è spezzata, macinata per bene e tramutata in soldi.
Perché dopotutto siamo creature ingegnose, sappiamo come riciclare il materiale.

Food Inc, di Robert Kenner 

Interessatevi, quantomeno. Non chiedo altro.

martedì 14 gennaio 2014

A Fia

L'autobus che prendo la mattina per andare a scuola e lo stesso che prendo all'uscita, mi mostrava sempre questo scorcio, questo quadro pressoché ripetitivo e uguale, vicino al porto: un uomo con una barba lunga e unta, gli occhi grandi, sempre un sorriso accennato in volto, quasi lo facesse per precauzione,magari seduto, oppure disteso,raramente in compagnia di una signora, e qualcosa di lui che da lontanissima e distaccata osservatrice avevo percepito, ma ancora ora non so cosa. Poi, solo un episodio:

Io in moto con una mia amica, passiamo sfrecciando Piazza Tredici Vittime e io noto un cane legato al palo. Il cane era tranquillo, non abbaiava, stava solo sul ciglio della strada e non so perché io vidi un cane abbandonato. Ciò smosse la mia compassione al punto che dissi alla mia amica, gridando affinché mi sentisse «Guarda, un cane abbandonato!»; rispose lei scandalizzata «Ma dooooooove?!» «Lì,lì! Gira, abbiamo superato!»ma sbagliò corsia, così dovemmo fare due volte il giro, prima di arrivare all'altezza del vecchio hotel, a due passi da quel cagnolone dolcissimo con gli occhi grandi. La mia amica accostò, nessuna delle due scese dalla moto, nel frattempo avevamo chiamato suo fratello per dire di chiamare un canile, eravamo convintissime senza nessuna conferma e indignate. Lei, che non manca mai occasione per esternare un suo pensiero il più scenicamente possibile, gridò «MA COME SI  PUÓÓÓÓÓÓÓ ABBANDONARE UN CANE, DIO SANTO, COMEEEEE!». Questo urlo lirico svegliò il buon senzatetto, lo vedemmo emergere da una montagnola di coperte, io non me accorsi né potei immaginare che sotto ci fosse qualcuno, e solo quando vidi muoversi collegai che quello era il posto dove lo notavo qualche volta. Lei ammutolì, e la mia testa si azzerò. Intanto lui si sedette, e al solito, sorrise, annuendo lentissimamente, chissà a chi. Continuammo ad accarezzare il cane per smaltire in pochi altri minuti l'imbarazzo e poi lei chiese «E' suo questo cane?» e lui annuì.  Lei disse, allora, col fare confidente verso di me ma abbastanza forte affinché sentisse anche lui «Ah ma io lo conosco, è un signore buonissimo, ho conteso con lui la mia cagnolina una volta» qualcosa del genere. Dopo quest'altro schiaffo umiliante, decidemmo di andare, accarezzammo ancora il cane, e salutammo il signore seduto. Rimanemmo in silenzio non molto, ma per me il tempo era dilatato, in quel momento. Così ad un certo punto proposi: «Compriamo dei pezzi di rosticceria e glieli offriamo» e lei «...mh, sì? Sì, dai
» . Lungo la strada per un bar, lei disse «Però scendi tu» «Ma tu hai gridato, almeno scendi anche tu» «Mi pare troppo male» e di colpo parve male anche a me. «Lasciamo perdere» dissi, «Infatti, dai non siamo brave a fare carità».
Non so se avete presente "i soliti idioti", un programma che inizialmente apprezzavo ma adesso mi sembra troppo demenziale. Ci sono i personaggi "moralisti". Ecco, in quel momento il nostro livello di pateticità era identico. Poi andammo a casa e per quel momento mi zittì,ma poi pensai e ripensai alla poca naturalezza della cosa e quanto, in fondo, avessi potuto provare, avrei potuto dirgli "se non si offende", avrei potuto un sacco di cose.

Il 30 dicembre dell'anno che è appena passato, è morto questo senzatetto, vicino al porto. Ho scoperto tramite gli articoli che si chiamava Fia, un nome bellissimo, leggero. Così come ho scoperto altre cose di lui.

Non avevamo mai parlato, né ero stata mai colpita da un suo gesto particolare, ma emanava davvero questo alone di leggerezza che in qualche modo avevo percepito. Comunque questo non vuole essere un post su chissà che. Ma da quando è morto è riaffiorato mille e mille volte questo episodio, rivelatore di una grande ipocrisia che sta così bene sull'epidermide che quasi non te ne accorgi.

Fia, avessi avuto la semplicità di cuore di portarti un pezzo in segno di scusa, e dirti "ho fatto una gran figura di merda, in più ti abbiamo pure svegliato, spero che lo apprezzerai, non è per farti carità, ma giusto per chiederti scusa, che modo irruento di fare le buoniste, eh". Che poi a pensarci bene, la figura di merda l'ho fatta doppiamente, nell'essere stata mossa a pietà per un cane quando ho abbandonato per prima cosa te, in questa città chiassosa. Predico tanto l'unione e la compassione e poi guarda, avrei potuto parlarti, conoscere la tua storia personalmente, piuttosto che leggerla il giorno dopo la tua morte dagli articoli scritti su di te.


a Fia, che avrebbe avuto tanto da insegnarmi, ho questa buona impressione, e che senza dire niente ha svelato l'ipocrisia dei gesti così come sono naturalmente fatti.



http://livesicilia.it/2013/12/30/in-memoria-di-fia-morto-di-freddo_424172/  il suo volto.

giovedì 9 gennaio 2014

La Capra Sopra La Panca

2014, anno nuovo, vita nuova, propositi nuovi, buoni o cattivi, saltiamo i preliminari e diamoci dentro, che lo sappiamo sono le solite cose che si dicono ma in realtà non cambia chissà quanto. Forse per me cambierà qualcosa solo perché si avvicina sempre di più il momento di prendere in mano la mia vita così come mi si fionda addosso: sono di maturità, anche se ancora non so di essere di maturità, sennò non starei qui alle 22.52 sveglia, oltretutto alzandomi dal letto dopo che cinque minuti prima avevo deciso di dormire, con l'influenza addosso.
Cos'ha questo futuro da offrirmi? Dunque: avevo giocherellato con l'idea di andare in Francia dopo il liceo, il doppio diploma in lingua francese spalancherebbe le porte delle università à là bas e l'idea di andare fuori non mi dispiacerebbe. Ma il punto è questo: studiare storia dell'arte perché è l'unica cosa di cui, sono certa, non mi stancherei facilmente e quindi, ma che cosa strana, ritrovarmi a studiare all'università una cosa che mi piace, una pratica inusuale oramai, per fare cosa? E poi dove? A me il lavoro non mi interessa. Chiarisco il concetto: a me un lavoro specifico non mi interessa. Perché io quello che vorrei fare a vita è scrivere, scrivere, scrivere per camparmi, campare per scrivere. E ho una paranoia: temo che andare all'università prenda il tempo che potrebbe servirmi per mettere su qualcosa nero su bianco. Io posso anche fare storia dell'arte, uscirne, e andare a fare la cameriera. Che senso ha? Non lo so ancora. Uscire dal liceo e fare la cameriera, e avere il tempo restante per scrivere. Nel frattempo mi costruisco una vita che sia solo mia, con i mezzi poveri che mi ritrovo. La Francia è la mia America e non perché ci tenga particolarmente andare lì, ma perché so che più lontano vado più cresco, e che questo significhi anche invecchiare al momento mi importa poco. Voglio fare ciò che amo, voglio amare ciò che faccio, non è tanto difficile eppure, a guardar bene, lo è. Queste sono le tipiche situazioni in cui, davanti ai bivi che conducono chissà dove, la scelta si delinea grazie al diramarsi perfetto nella tua mente della lista di cose che non vuoi, mentre quelle che vuoi si perdono in altre vie e viuzze, e poi ti rimane una manciata di idee che non sai come mettere in atto.
Ci sarà pure un modo per non tradirti, eh Gea?
Comunque è ancora presto, lo so. Le svolte si prendono allo scoccare dell'estate degli esami, se tutto va bene. Però il mio cervello come sempre si spinge oltre e poi capitombola giù.

-Sì Gea, tante belle parole. Il sentimento, l'onestà, fare le cose per piacere e non per interesse, sì sì. Ma poi, a te, chi ti campa, eh figghia?
- La capra sopra la panca.