mercoledì 4 dicembre 2013

Currenti Calamo

Cara Oceano,
sono le 00:26 del 4 novembre 2013, io sono irrequieta e non riesco a dormire, sento di voler piangere ma non lo farò e sono qui, con la mano che scorre, anzi Con La Penna Che Scorre, Currenti Calamo, senza sapere cosa scriverti. La mia scuola, come ti ho già scritto da Marguerite, è in occupazione e questo è uno schifo. Ma non voglio parlare di questo, non so di cosa voglia parlare, al momento so solo che non riesco a dormire e che pensavo che presa la penna in mano mi sarei calmata un po'. Per ora non sta cambiando molto, ma tanto male non mi fa, escludendo il fatto che sto togliendo tempo al sonno e che dovrò svegliarmi alle sei e mezza. La mia mente è un continuo caos rumoroso di parole, Oceano. E non lo dico per sottolineare il mio profondo essere irraggiungibile e maledetto, macché, non credo di farmi più pipponi mentali di chiunque e di non avere chissà quali problemi. Ma è proprio un caos di parole. Mentre parlo c'è rumore, brusìo costante, non fastidioso per la maggior parte del tempo ma distrae, distrae al punto che, mentre parlo, inverto le parole, mischio le lettere, ingarbuglio frasi e così vengono fuori questi spasmi dislessici, che sono divertenti da raccontare in seguito, tipo "cornatonto personale" oppure, fresca di giornata: "farini di sacca"; lo stesso brusìo che c'è mentre ascolto una lezione e tento di non distrarmi non riuscendoci, oppure quando ascolto qualcuno parlare e per riuscire a seguire mi concentro sul sentimento che provo per quella persona: se è un sentimento positivo riesco a seguire, mi dispiacerebbe non ascoltarla, piuttosto che perdermi nei miei pensieri oppure in osservazioni dei dettagli del mondo circostante. Ogni volta balbetto, faccio pause, ripeto le frasi, perdo il filo, sbaglio e subito mi correggo, "che stavo dicendo..."; è come se ci fosse un piccolo scribacchino intento a trafficare piegato su una piccola scrivania, il quale segna mano a mano tutte le parole che devono uscire dalla mia bocca: tenta di ordinarle, le fa passare oltre il banco solo dopo aver firmato (burocrate!),le fa mettere in fila, per favore ragazzine, senza spingere e senza gridare, su. Ma loro spingono, si fanno lo sgambetto, corrono, gridano, sono troppe, troppo veloci; del resto come si fa a rallentare il pensiero quando deve discutere, parlare, ribattere, esprimersi, fare ironia, intercalare, esclamare, sottolineare qualcosa, controbattere? E' necessario che siano scattanti. Ma le parole nella mia testa sono di pongo, non hanno resistenza se urtano tra di loro e si spiaccicano. C'è solo un momento in cui lo scribacchino prende fiato, magari si incazza anche un po' e fa come Silente alla mensa di Hogwarts: un urlo solenne e titanico che zittisce tutti, affinché sia s i l e n z i o. TACETE E METTETEVI IN FILA SENZA FIATARE! E questo è il momento in cui prendo la penna in mano, e ti scrivo. Per me è terapeutico toccare la penna e il foglio, stringere intorno al cervello il mondo tangibile, ma anche quando scrivo al blog, il silenzio cala lo stesso. Momento di ordine, in cui passano dal banco tutte le parole, dalla preposizione al sostantivo più ricercato, passano in perfetto ordine. E' una bella sensazione, riesco a sentire la mia voce mentre penso. Che poi non è proprio la mia voce, spesso cambia. C'è stato un periodo in cui la voce nella mia testa era quella di Joey di Dawson's Creek. Ora non so chi sia, ma è troppo perfetta per essere la mia. Dovrei chiederglielo, Oceano, il punto però è che si tratterebbe di un'eco, una ripetizione, un suono che ritorna al mittente senza risposta, come chiedere all'immagine dello specchio se per favore non imiti i propri stessi movimenti.

Sono arrivata ad una soluzione sconclusionata, ma sempre meglio di niente. Ho deciso che a Palermo ci rimango finché non compio due cose fondamentali, di cui ti parlerò in seguito e poi posso anche provare la via per la Provenza. Ma è decisivo, Palermo è la città del mio tutto e deve essere così fino alla fine.
Ora vado, mi sono rilassata. Vedi, O, è successo. Lo scribacchino ha compiuto bene il suo lavoro e tutte le parole hanno svolto la loro funzione. Il mio cervello si è calmato e c'è spazio per il sonno, adesso. Buona notte, Oceano.
Tua Gea.