martedì 14 gennaio 2014

A Fia

L'autobus che prendo la mattina per andare a scuola e lo stesso che prendo all'uscita, mi mostrava sempre questo scorcio, questo quadro pressoché ripetitivo e uguale, vicino al porto: un uomo con una barba lunga e unta, gli occhi grandi, sempre un sorriso accennato in volto, quasi lo facesse per precauzione,magari seduto, oppure disteso,raramente in compagnia di una signora, e qualcosa di lui che da lontanissima e distaccata osservatrice avevo percepito, ma ancora ora non so cosa. Poi, solo un episodio:

Io in moto con una mia amica, passiamo sfrecciando Piazza Tredici Vittime e io noto un cane legato al palo. Il cane era tranquillo, non abbaiava, stava solo sul ciglio della strada e non so perché io vidi un cane abbandonato. Ciò smosse la mia compassione al punto che dissi alla mia amica, gridando affinché mi sentisse «Guarda, un cane abbandonato!»; rispose lei scandalizzata «Ma dooooooove?!» «Lì,lì! Gira, abbiamo superato!»ma sbagliò corsia, così dovemmo fare due volte il giro, prima di arrivare all'altezza del vecchio hotel, a due passi da quel cagnolone dolcissimo con gli occhi grandi. La mia amica accostò, nessuna delle due scese dalla moto, nel frattempo avevamo chiamato suo fratello per dire di chiamare un canile, eravamo convintissime senza nessuna conferma e indignate. Lei, che non manca mai occasione per esternare un suo pensiero il più scenicamente possibile, gridò «MA COME SI  PUÓÓÓÓÓÓÓ ABBANDONARE UN CANE, DIO SANTO, COMEEEEE!». Questo urlo lirico svegliò il buon senzatetto, lo vedemmo emergere da una montagnola di coperte, io non me accorsi né potei immaginare che sotto ci fosse qualcuno, e solo quando vidi muoversi collegai che quello era il posto dove lo notavo qualche volta. Lei ammutolì, e la mia testa si azzerò. Intanto lui si sedette, e al solito, sorrise, annuendo lentissimamente, chissà a chi. Continuammo ad accarezzare il cane per smaltire in pochi altri minuti l'imbarazzo e poi lei chiese «E' suo questo cane?» e lui annuì.  Lei disse, allora, col fare confidente verso di me ma abbastanza forte affinché sentisse anche lui «Ah ma io lo conosco, è un signore buonissimo, ho conteso con lui la mia cagnolina una volta» qualcosa del genere. Dopo quest'altro schiaffo umiliante, decidemmo di andare, accarezzammo ancora il cane, e salutammo il signore seduto. Rimanemmo in silenzio non molto, ma per me il tempo era dilatato, in quel momento. Così ad un certo punto proposi: «Compriamo dei pezzi di rosticceria e glieli offriamo» e lei «...mh, sì? Sì, dai
» . Lungo la strada per un bar, lei disse «Però scendi tu» «Ma tu hai gridato, almeno scendi anche tu» «Mi pare troppo male» e di colpo parve male anche a me. «Lasciamo perdere» dissi, «Infatti, dai non siamo brave a fare carità».
Non so se avete presente "i soliti idioti", un programma che inizialmente apprezzavo ma adesso mi sembra troppo demenziale. Ci sono i personaggi "moralisti". Ecco, in quel momento il nostro livello di pateticità era identico. Poi andammo a casa e per quel momento mi zittì,ma poi pensai e ripensai alla poca naturalezza della cosa e quanto, in fondo, avessi potuto provare, avrei potuto dirgli "se non si offende", avrei potuto un sacco di cose.

Il 30 dicembre dell'anno che è appena passato, è morto questo senzatetto, vicino al porto. Ho scoperto tramite gli articoli che si chiamava Fia, un nome bellissimo, leggero. Così come ho scoperto altre cose di lui.

Non avevamo mai parlato, né ero stata mai colpita da un suo gesto particolare, ma emanava davvero questo alone di leggerezza che in qualche modo avevo percepito. Comunque questo non vuole essere un post su chissà che. Ma da quando è morto è riaffiorato mille e mille volte questo episodio, rivelatore di una grande ipocrisia che sta così bene sull'epidermide che quasi non te ne accorgi.

Fia, avessi avuto la semplicità di cuore di portarti un pezzo in segno di scusa, e dirti "ho fatto una gran figura di merda, in più ti abbiamo pure svegliato, spero che lo apprezzerai, non è per farti carità, ma giusto per chiederti scusa, che modo irruento di fare le buoniste, eh". Che poi a pensarci bene, la figura di merda l'ho fatta doppiamente, nell'essere stata mossa a pietà per un cane quando ho abbandonato per prima cosa te, in questa città chiassosa. Predico tanto l'unione e la compassione e poi guarda, avrei potuto parlarti, conoscere la tua storia personalmente, piuttosto che leggerla il giorno dopo la tua morte dagli articoli scritti su di te.


a Fia, che avrebbe avuto tanto da insegnarmi, ho questa buona impressione, e che senza dire niente ha svelato l'ipocrisia dei gesti così come sono naturalmente fatti.



http://livesicilia.it/2013/12/30/in-memoria-di-fia-morto-di-freddo_424172/  il suo volto.

giovedì 9 gennaio 2014

La Capra Sopra La Panca

2014, anno nuovo, vita nuova, propositi nuovi, buoni o cattivi, saltiamo i preliminari e diamoci dentro, che lo sappiamo sono le solite cose che si dicono ma in realtà non cambia chissà quanto. Forse per me cambierà qualcosa solo perché si avvicina sempre di più il momento di prendere in mano la mia vita così come mi si fionda addosso: sono di maturità, anche se ancora non so di essere di maturità, sennò non starei qui alle 22.52 sveglia, oltretutto alzandomi dal letto dopo che cinque minuti prima avevo deciso di dormire, con l'influenza addosso.
Cos'ha questo futuro da offrirmi? Dunque: avevo giocherellato con l'idea di andare in Francia dopo il liceo, il doppio diploma in lingua francese spalancherebbe le porte delle università à là bas e l'idea di andare fuori non mi dispiacerebbe. Ma il punto è questo: studiare storia dell'arte perché è l'unica cosa di cui, sono certa, non mi stancherei facilmente e quindi, ma che cosa strana, ritrovarmi a studiare all'università una cosa che mi piace, una pratica inusuale oramai, per fare cosa? E poi dove? A me il lavoro non mi interessa. Chiarisco il concetto: a me un lavoro specifico non mi interessa. Perché io quello che vorrei fare a vita è scrivere, scrivere, scrivere per camparmi, campare per scrivere. E ho una paranoia: temo che andare all'università prenda il tempo che potrebbe servirmi per mettere su qualcosa nero su bianco. Io posso anche fare storia dell'arte, uscirne, e andare a fare la cameriera. Che senso ha? Non lo so ancora. Uscire dal liceo e fare la cameriera, e avere il tempo restante per scrivere. Nel frattempo mi costruisco una vita che sia solo mia, con i mezzi poveri che mi ritrovo. La Francia è la mia America e non perché ci tenga particolarmente andare lì, ma perché so che più lontano vado più cresco, e che questo significhi anche invecchiare al momento mi importa poco. Voglio fare ciò che amo, voglio amare ciò che faccio, non è tanto difficile eppure, a guardar bene, lo è. Queste sono le tipiche situazioni in cui, davanti ai bivi che conducono chissà dove, la scelta si delinea grazie al diramarsi perfetto nella tua mente della lista di cose che non vuoi, mentre quelle che vuoi si perdono in altre vie e viuzze, e poi ti rimane una manciata di idee che non sai come mettere in atto.
Ci sarà pure un modo per non tradirti, eh Gea?
Comunque è ancora presto, lo so. Le svolte si prendono allo scoccare dell'estate degli esami, se tutto va bene. Però il mio cervello come sempre si spinge oltre e poi capitombola giù.

-Sì Gea, tante belle parole. Il sentimento, l'onestà, fare le cose per piacere e non per interesse, sì sì. Ma poi, a te, chi ti campa, eh figghia?
- La capra sopra la panca.