mercoledì 5 aprile 2017

La Porta


Smontare una porta e scoprire le meraviglie meccaniche al suo interno: "cioè guarda, ci potremmo fare una storia!"
Sì, facciamoci una storia. Intanto ti metti qua, davanti alle cupole, così apriamo la porta su Palermo.

martedì 4 aprile 2017

Archittetture urbane


Era sera, cercavamo posteggio. Santa Rita, dal piccolo del suo grido soffocato, deve averci tutelate e protette facendoci trovare un parcheggio proprio di fronte alla sua entrata.

L'incredibile esistenza delle cose, casuali e mal pensate. Questa chiesetta incastrata tra un panificio e un palazzo condominiale, piccola e stretta, non sembra neanche vera.

W S. RITA, dice il neon super flash, come se fosse una qualunque insegna commerciale. La guardo più e più volte incredula, forse mi aspetto che crolli in avanti, come se fosse il cartone di una scenografia, tanto sembra finta e assolutamente fuori contesto.

Magari se la fisso a lungo, effettivamente si svelerà. Se soffio, cade?

Questi sono squarci nella logica, nell'estetica, in tutto ciò che in genere dà equilibrio, senso, bellezza nel corso degli eventi. Mi chiedo: è nato prima il palazzo accanto o la chiesa? Potrebbe essere una risposta scontata, eppure a questo punto non ci giurerei sull'ordine di pre-esistenza.

Mi piacerebbe tornarci di giorno e vederla dentro, per scoprire com'è.

Ma vi immaginate, la domenica? La messa? Il rumore? La gente che scende dal palazzo accanto? Magari con porte comunicanti tra la portineria e il confessionale, tanto sono appiccicate che potrebbero pure essere entrati l'uno dentro l'altra, come nelle migliori storie d'amore.

Ma cosa combinate.

W S. RITA, protrettrice dei posteggi poco prima dei concerti, delle chiese scomode tra due palazzi, delle città con architetture casuali.

venerdì 24 marzo 2017

Pillole Palermitane. Anche qui è Primavera

C'è questa sorta di banchina, al Foritalico, a pelo d'acqua.


Bisogna superare l'immondizia sparsa qua e là, quell'immondizia che non se ne va mai, neanche a toglierla repentinamente.

C'è odore di alghe morte, forse pesci. Ci sono cani distesi sulla sabbia, nella loro disperazione randagia.

E c'è questa banchina. Un delicatissimo rettangolo di cemento a pelo d'acqua. Basta un po' di vento per increspare la superficie e l'acqua gli finisce sopra.

E lì, un attimo brevissimo, la bellezza più pura e disarmante che possa partorire una banchina di cemento e un mare inquinato.

Quando Palermo fa così io sento particolarmente dolore. Forse per quel meccanismo antico e pulsante che richiede uno spacco per fare entrare la luce.

Quel meccanismo che ti porta ad abbracciare questa città anche se non ha altro da offrire che decadenza e si sa che di decadenza non si vive, al massimo si muore e bisogna anche ringraziare se finisce così.

A me viene sempre e ancora questa sorta di voglia di raccontarla, Palermo. Non so neanche in quale modo, in quanti modi. Ma forse imparare a raccontarla in maniera fedele e coerente forse è l'ultima spiaggia in cui soggiorno per sperare di cambiare qualcosa.

Quantomeno per non abituarmi, per sapere come pormi domande e dove cercare risposte. "Tu sei Palermo", mi hanno regalato una volta questa identità.

Cosa significa, però, lo devo ancora scoprire.

venerdì 24 febbraio 2017

The Doors - Love Street



So che vivi in Love Street
c'è un locale lì, dove le creature si incontrano
mi chiedo cosa ci facciano lì
nelle domeniche estive e in un anno...
Immagino di aver gradito, finora.

venerdì 17 febbraio 2017

Murble Rain, murble rain

Lo accendiamo questo cervello, oggi, Gea? Oppure no?


Niente da fare, oggi si va a carbone (e vetro). Grazie ai fenomenali "ricordi" di Facebook mi capita di rivedere i vecchi post di questo blog che ormai ha quasi sette anni, all'incirca, credo.

Rivedo quei post lunghi, senza immagini, senza paragrafi divisi. Vedo tutta la necessità di esprimere qualcosa e ricordo la costante sensazione di "meh" nel pubblicare, convinta e consolata dalla sola idea che fortunatamente in pochi avrebbero mai aperto i post e si sarebbero sorbiti le mie pippe mentali, dunque piuttosto di "violentarli" con papelli autocelebrativi su facebook, avrei comunque dato al malcapitato di turno la possibilità di aprire o meno la busta -Maria!-.

Adesso presto più attenzione a come impostare una pagina virtuale, di parole intoccabili, vicine solo se ti lasci avvicinare. Merito del lavoro sul sito in cui scrivo da un annetto a questa parte, Ultima Voce, che in qualche modo mi ha insegnato che valorizzare il proprio pensiero tramite uno schermo significa anche seguire certi parametri che te lo rendano visibile, in tutti i sensi.

Inoltre, è da un po' di tempo che questo blog è diventato più un diario per immagini che non un vero e proprio contenitore di flussi di (in)coscienza. Poco male, ho capito che anche in quella maniera si possono raccontare le cose.

Eppure riguardo quei vecchi post e lo sento che la vita è diversa. Sì, bella scoperta l'acqua calda, lo sappiamo. Però è importante rendersi conto di queste cose, anche cadenzalmente, perché tendiamo a dimenticarle.

Ci sono cose che non cambiano, ovviamente -ovviamente?-, e altre che è giusto invece si trasformino. Mi ci vuole ancora tempo per accettare i cambiamenti, che attualmente stanno avvenendo solo dentro la mia testa, perché mi sono impigrita e impigrirsi non è solo staticità, ma anche pratica aderenza alla vigliaccheria e io sono sempre molto a mio agio quando divento vigliacca.

Ci vogliono scossoni e tempeste tumultuose, ma il paesaggio è work in progress. Non è che vi prometta fuffa, eh, volevo solo dirlo.

Nel frattempo continuo a costruire oggetti e le mie fedelissime biglie dell'anima mi vengono incontro, aiutandomi ad accendere il cervello poco a poco, ché oggi si va lenti.
Ma, per fortuna, si va sempre.