sabato 15 marzo 2014

Merci Italie, Italie je t'aime: cosa passa dall'esabac

Il faut mieu avoir la tȇte bien faite que bien plaine
      è meglio avere una testa ben fatta che piena
-Montaigne, Les Essais
                                                                       

 A 96 giorni dall'inizio degli esami, mi rendo conto di quanto, se solo la scuola in Italia fosse valorizzata, sarebbe una tra le migliori del mondo intero.
Faccio parte della classe "ESABAC" della mia scuola e conseguirò al doppio diploma, in lingua francese (già scritto, ma ribadisco), e dato che gli esami si avvicinano, sono iniziate le simulazioni di esame scritto. Com'è ovvio un doppio diploma implica il doppio della fatica, ma forse questo lo potrei sopportare (sebbene già ho un dizionario di imprecazioni pronte all'uso, per i futuri esabaccandi sarà molto utile). L'unica cosa che non riesco a tollerare, e siamo solo all'inizio, è la metodologia. 
Quando si fa un saggio breve di italiano, di solito bastano due fogli: uno per la brutta, l'altro per la bella; ci sono i documenti, non è obbligatorio inserirli tutti, ma sarebbe preferibile, bisogna capire la tematica e svilupparla. Ci sono anche da noi regole da seguire ma se si ha l'abilità, spesso è possibile anche infrangerle. 
In Francia, no. Non in Francia. Non all'esame di stato francese, no no. Un fottutissimo saggio breve di letteratura deve obbligatoriamente:
  • Essere di 600 parole (da contare, mi raccomando!- sarà il Santo Graal del baccalaureat scoprire se le contano una per una, ma per sicurezza si contano-) tra introduzione, sviluppo e conclusione. Introduzione: 100 parole in cui devi sistematicamente sviluppare una scaletta introduttiva in cui introduci il tema,la problematica e i documenti; sviluppo: 440 parole, in cui, per l'appunto, sviluppi tutti i punti chiavi introdotti nella precedente; conclusione: 60 parole in cui fai il riassunto di ciò che è scritto prima. Tra le tre parti deve saltare un rigo e ogni paragrafo dello sviluppo deve essere riconoscibile perché per ogni punto sviluppato, si va accapo. Qual'è il senso di tutta questa rigidità? Perché scrivere così? 
  • Costruire un plan (mappa concettuale) che deve essere solo nel brouillon (brutta copia) per dimostrare che hai ragionato su ciò che scrivi. Questo deve, come già detto, esserci obbligatoriamente perché sono punti. Anche queste cose hanno un metodo solo per essere svolte, perché altrimenti non dimostri di ragionare.
  • Il modo di citare i documenti, deve essere ben preciso secondo un metodo (che ho rimosso) perché la problematica posta deve essere legata attraverso i documenti da "assi" precisi, ovvero da argomenti mirati.
E ovviamente c'è anche il saggio breve di storia, il quale almeno è solo di 300 parole (ma il metodo è più o meno lo stesso) e l'analisi del testo di letteratura. Nella quarta prova (sì, perché data la presenza di questo progetto farò, quindi, una quarta prova) dovrò fare sia letteratura che storia, sarà una giornata luuuuuuuuuuuuunga e faticosa, già provata nelle simulazioni.

Metodo, catalogo, parole chiave, struttura, sistema, ordine, meccanizzazione. Tutto questo è un esame scritto di francese. E il contenuto?
Limitatissimo, di scarso conto. Ho assistito, grazie al gemellaggio, alle lezioni in Francia, e per quel poco che ho visto ho notato che lo studio non è intenso come lo facciamo noi, e non intendo certo da persona a persona (io non studio sebbene sia italiana) ma intendo, come spiegarlo, come approccio dei professori e studenti, come attenzione posta ai dettagli dello studio. Non farò di tutta un'erba un fascio, per prudenza e per evitare stereotipi o pregiudizi, magari era la classe con la quale avevamo gemellato che era particolarmente impreparata sulla letteratura, ma è stata una cosa che abbiamo notato anche quando loro sono venuti qui: di letteratura generale ne sapevano ben poco, e quel che sapevano era qualcosa di accennato. 
Quello che voglio dire è che credo che sia tutto frutto di un sistema didattico che punta al metodo e del contenuto poco importa. Questi saggi brevi, che sono gli stessi che ogni anno migliaia di maturandi francesi fanno, arrivati anche loro all'ultimo anno, sono troppo sistematici ma richiedono poco pensiero, e ne ho conferma giorno dopo giorno, per ogni approfondimento che facciamo a riguardo. Sì le mappe concettuali, sì le righe da rispettare, sì i numeri, sì l'ordine dei pensieri da sviluppare ma poi, gira che ti rigira, finisci per scrivere sempre le stesse cose.
Inutile, da parte mia, lamentarmene in classe. La mia professoressa è un'amante accanita di questo progetto "esabac" e per qualsiasi replica ha sempre la risposta. Quello che io vorrei dire è che questa cosa mi fa semplicemente schifo. Non è il mio metodo, non è il mio modo di scrivere e non è il mio modo di ragionare sulle cose. Non penso che, una volta ricevuta la brutta copia all'italiana, il professore possa avere dubbi sul fatto che lo studente abbia ragionato su ciò che ha scritto, eppure non c'è bisogno di mappe né di numerazione di ogni singolo pensiero che hai intenzione di scrivere. Quel che immagino, lì nella bella Francia, è un'enormità di studenti studiosi e diligenti che però, al di fuori dei loro schemi, non sanno parlare di qualcosa. Ripeto: non sarà per tutti così, me lo auguro, ma ho visto con i miei occhi e sto notando adesso tramite i miei sforzi che il metodo didattico è diverso, e forse persino peggiore del nostro. 

Detto questo, piccolo sfogo su ciò che mi attende e su quanto già mi costi fatica, il mio pensiero va a chi mi diceva, non ricordo quando, che l'istruzione italiana "un tempo" era la più invidiata da tutti. Ora inizio a crederci, ora inizio a capirlo. E proprio per questo ringrazio immensamente lo stato e la politica italiana per aver reso tutto questo un inferno, per aver messo la scuola sempre all'ultimo posto nelle priorità tra i beni e le risorse da tutelare, per aver mandato professori e di conseguenza studenti allo sfacelo. Grazie di cuore. Ora sì, è meglio la Francia per le risorse che dà, ma come mi sento ricca io nemmeno la mia adorabile "gemella". 
E' meglio la Francia, la Germania, l'Inghilterra, molto meglio il resto del mondo e molto meglio andarsene fuori dall'Italia, peccato che la cultura che risiede in ogni piega di questo paese non c'è da nessuna parte, e che questa cultura, se ben insegnata e ben assorbita, come spessissimo succede, avrebbe potuto farci andare ovunque, se tenuta bene in considerazione, e farci conquistare la Francia, la Germania e tutto ciò che avremmo voluto.

Merci Italie, Italie je t'aime. 

sabato 1 marzo 2014

Parole Vapore

Quando ero alla scuola media, una volta, una delle tante, hanno organizzato un incontro con degli educatori per parlare dei rischi del fumo "No Smoke No Cry", roba da denuncia per la tristezza dello slogan, tentando di fare presa su di noi con storie di adolescenti in crisi, storie che sfioravano quasi la drammaticità più nera e catastrofica, bombardandoci di immagini di famosi personaggi e polmoni anneriti. Nel frattempo, dall'altra parte della fila dei banchi, ognuno di noi era impegnato a fare         altro, conoscendo i mali del fumo e fregandosene alla grande. Non si rinuncia alla crescita e per crescere si fuma perché fa figo. Fa figo. Senza drammi o motivi psicologici particolari. Magari poi passa, magari poi no. 

Non si possono contare le volte in cui mi è capitato di stare in compagnia e sentire intavolare discorsi sul fumo, sulla categoria di persone e lo studio approfondito dei modi di porsi di fumatori e non fumatori. Ovviamente il risultato è più o meno lo stesso: i non fumatori rompono i coglioni, i fumatori se ne fregano. 
Io, da non fumatrice, mi astengo dal rompere i coglioni, sebbene non nascondo che mi dispiace moltissimo. 
Mi astengo perché la regola de "la vita è mia non ti ho chiesto il tuo parere faccio quello che mi pare",la rispetto parecchio, perché è vero così.  E poi perché che senso ha insistere se le persone hanno già fatto la loro scelta?
La cosa divertente è che molti dei fumatori si infastidiscono in partenza nel sentire qualcuno pronunciare "eh sì ma fumi troppo" oppure "di nuovo?! Te ne sei fumata una due secondi fa!" o il più semplice, sempreverde "dovresti smettere di fumare tanto" perché c'è davvero la percezione di un obbligo gratuito, non esiste in alcun modo che tu, salutista del mio cazzo, debba venirmi a fare la ramanzina sul perché o come o quando o quanto io debba fumare, è una mia scelta, lo so che fa male ma sono cazzi miei, permetti? Io non vengo a dirti cosa devi o non devi fare, e poi *suoni di sottofondo*
Hanno ragione. Avete ragione, voi categoria di fumatori. Infatti prometto solennemente di non rompere più i coglioni a nessuno, non starò lì a fissare il vuoto perché se mi arrivano folate di sfumazza ogni due o tre secondi dirigo lo sguardo verso chi l'ha provocata immaginandomi i raggi x che osservano l'ispirazione e l'espirazione del fumo che vi passa dai polmoni e rilascia particelle di catrame che lentamente si depositano nel vostro organismo, non lo farò più, giuro prometto
Si potrebbero scrivere barzellette se non addirittura intere commedie di vita umana sui dialoghi tra un fumatore e un non fumatore. Non fumatori, tra l'altro, che magari non fumano ma sono dipendenti da altre milleventordici cose che comunque danneggiano la salute, quindi chi è che predica bene e razzola male? Eh? D'accordissimo, dunque: ognuno alla sua strada. 
Tuttavia, non posso fare a meno di pensare all'altra faccia della medaglia:
la cosa affascinante di chi crede fermamente in tutto ciò che fa e che dice, chi si sceglie la vita e di questa scelta ne fa abitudine e routine ed è capace di spiegarti perché, è che ogni singola cosa, assume un principio preciso. Così chi fuma, dalla sigaretta a qualunque cosa si possa ispirare per combustione, sa spiegarti sviscerando ogni aspetto sul perché si sente intaccato nel profondo della sua libertà di espressione e di vivere se qualcuno gli tritura i neuroni su quanto male faccia fumare, giusto? Bene.
Nel mondo ci saranno sempre fumatori e non fumatori, entrambi con principi che sono pressoché uguali per tutti. E la libertà dei non fumatori? *Benissimo, Gea sta sbarellando del tutto, magari chiudo che mi secca leggere, ecco.*
Ho tantissimi amici a cui tengo in maniera indicibile che fumano come ciminiere, e proprio come ciminiere lo fanno ininterrottamente. Superando il primo gradino di ovvietà riguardo la libertà toccata da chi fuma, nei confronti di chi non lo fa, ovvero che stando in un luogo pubblico mi affumico senza aver fumato e questo potrebbe darmi fastidio (cosa superata, evviva!), si arriva ad un altro punto, più pernicioso, intricato e forse che lavora solo nella mia testa, ma dato che sono nel mio blog, mi permetto di esprimerlo: lo sforzo che faccio per non rompere ogni volta la sigaretta&affini dalle mani delle persone che conosco è immenso, perché so che farei un torto (più o meno, più o meno sì). Ma il torto che mi fanno loro di sbattermi in faccia la loro strafottenza nei confronti della vita è quasi dolorosa. Mi sa che la soluzione, per me, è quella di fregarmene il meno possibile non del fenomeno in sé, ma delle persone. Ammetto che non abbraccio la causa universale, non me ne frega più  di tanto se un miliardo di persone del mondo fumano inconsapevolmente, per loro mi basterebbero le pubblicità di sensibilizzazione che non sensibilizzano proprio niente, dato che se proprio si volesse cambiare bisognerebbe sbattere loro in faccia la verità: "Stai firmando la tua precoce condanna a morte! Cos'è, vuoi fare la vita da rockstar?! Bè allora quanto meno mettiti a fare rock, o fai qualcosa da star!! E non ci credo che nel letto di morte non rimpiangerai tutto questo!!",perché è questo il problema mondiale: le parole sono loro stesse diventate di fumo. Perciò io penso solo ai cari che conosco, sono loro che mi affliggono.Sarò esagerata, sicuramente sarò esagerata, ma il discorso è semplice e non necessita troppe spiegazioni: sapere che una cosa come la dipendenza dal fumo può causare la morte prima di quanto possa biologicamente avvenire, e vedere quanto poco possa importare, è avvilente.
La nostra intera esistenza è costellata da dolori, delusioni e sofferenze insopportabili che ci rendono dipendenti da qualcosa, speranza o paura che sia, e questo ci rende fragili, stupidi e per la maggior parte del tempo inutili, c'è davvero bisogno di diventare dipendenti da qualcos'altro? Perché? Perché anestetizza? Perché potete dormire la notte?

Questo non ha assolutamente intenzione di essere un post moralista o sensibilizzatore. E' solo una disinteressata opinione al riguardo, perché sento sempre inni alla libertà di persone incatenate da dipendenze che non siano quelle che tramite paranoie, seghe mentali, paure, pensieri, riflessioni, dubbi e pensieri di qualsiasi tempo possiamo creare di nostro. Siamo tutti dipendenti da qualcosa, io per prima. E questo fa male, spesso non fa dormire. Ma mi rende umana. Mi manca il coraggio per tantissime cose, ma in fondo, quando sento sempre le stesse cose, mi rendo conto che non mi manca il coraggio di essere quel negozio di cristalli in cui miriadi di elefanti entrano sempre. Ho il coraggio di essere una cosina senza coraggio.

Cari fumatori,
La mia libertà lesa è quella di non potervi ricordare che, da scassaminchia quale sono, voi state morendo.
E dato che di attimo in attimo invecchio anche io, anche io morirò. Inoltre se solo le conosceste tutte, potreste rinfacciarmi tutte le dipendenze mentali che mi sono procurata da sola e contro le quali lotto ogni giorno che proprio perché tali mi portano quasi sempre al fallimento. Ma, almeno che io non stia già covando una malattia fulminante o accadrà in futuro, se non sarò investita in qualche incidente, in media potrei vivere più di voi. Non voglio farvi pressione sulla cosa, perché rientrerebbe nel "ma come ti permetti ma chi ti senti ma chi t'ha detto niente ma non ti pare di stare esagerando non ti sembra che sia più corretto farti i cazzi tuoi ma chi ti ha interpellato ma insomma cosa vuoi". E solo che non posso fare a meno di concentrarmi su una cosa: ma davvero non vi importa?

Va bene la serata, va bene il momento di noia, va bene "ogni tanto ci sta".Ma, sul serio: non ha nessuna importanza?
Forse dovremmo tutti avere il coraggio di essere esseri umani e di affrontare tutto. Tutti. Senza cercare sempre giustificazioni anestetizzanti. Non so, magari ne vale la pena, in fondo.

Quanto vale l'anestesia?