C'è questo quadro di Modigliani al quale ho particolarmente donato il cuore, per puro narcisismo, suppongo, oppure per immenso onore. È un ritratto della bella e amata Jeanne Hébuterne, del 1918.
Mi somigliava moltissimo. Merito del fatto che è uno dei pochi ritratti fatti a Jeanne, se non addirittura uno dei pochi nella carriera in generale dell'artista dagli occhi di acqua torbida, con le pupille. Mi è riuscito abbastanza semplice, guardando, rivedermici: eravamo molto simili. I capelli, le orecchie, la bocca, la posa tutta e l'espressione, familiare, di quelle che farei io.
Ho sempre amato moltissimo questa cosa. Perché amo follemente Modigliani, amo i suoi colori, le sue modelle, i suoi ritratti. E poi perché l'idea di essere io, nella realtà, simile all'idea, alla concezione che lui aveva della donna che amava mi scombussolava il cuore.
Potevano avvenire milioni di miliardi di combinazioni fisiche nel mio corpo, nel mondo intero, nella mente di Modigliani, ai suoi tempi, ma per questa che vivo è capitato che io somigliassi non alla vera Hébuterne, bensì a come lui la vedeva. Ho amato moltissimo questa cosa.
Potevano avvenire milioni di miliardi di combinazioni fisiche nel mio corpo, nel mondo intero, nella mente di Modigliani, ai suoi tempi, ma per questa che vivo è capitato che io somigliassi non alla vera Hébuterne, bensì a come lui la vedeva. Ho amato moltissimo questa cosa.
Mi dicevo: non esiste, ma se esistesse sarebbe meraviglioso: un incontro astrale, una dimensione diversa in cui io sono stata scelta per somigliare a ciò che il cuore di Modigliani vedeva tramite gli occhi e riproduceva con la sua mano. Blessed.
Tutti mi hanno dato conferma di questa somiglianza. Alcuni, lusingandomi, hanno persino confermato il fatto che somigliassi proprio allo stile modiglianesco, con il collo lungo. In realtà vi dico, conosco ragazze con colli molto più modiglianeschi e di gran lunga più aggraziate, ma continuo a coccolarmi nell'idea di essere perfetta per un quadro a modo Modì.
Però ora il tempo è passato. Non troppo lungo, ma il sufficiente perché riguardassi dopo molto tempo quel quadro - o l'immagine su internet - e vedessi in me un cambiamento. Con un po' di dispiacere, lo ammetto, ma il mio "Jeanne 1918" sta passando. Forse è l'espressione o forse sono solo i miei capelli, che sto ricominciando a (non) curare affinché ritornino ricci. O forse perché Modigliani ha scelto un'altra modella, chi lo sa. Il fatto di crescere e invecchiare mi ha lasciato al Dorian Gray dalla parte opposta della tela: non ho chiesto al quadro di cambiare al posto mio e dunque sono qui, a qualche dettaglio di differenza da Jeanne.
Ti saluto, mia cara Jeanne: t'ho sognato e fantasticato, ho cercato di immaginare cosa ti dicesse Amedeo quando in quel periodo ti ritraeva con degli occhi che erano proprio i tuoi e non porte non ben definite verso l'immenso, come gli altri. Forse aveva trovato già l'immenso con te, e lo voleva fissare con due punti luce. Mi piaceva immaginare che dicesse qualcosa che pensavo anche io, qualcosa che nel tempo, in qualche maniera, avessi ripetuto, come una vita dopo la vita.
Ti devo salutare, Jeanne dell'Anima, perché il tragitto sta per prendere un'altra rotta. Però non ti abbandonerò del tutto, spero di conservarti sempre gelosamente in un angolo di personalità.
E finché nel cuore c'è posto per Modì, tu sarai sempre una mia foto sbiadita, un memento per ricollegarmi a me stessa.
E finché nel cuore c'è posto per Modì, tu sarai sempre una mia foto sbiadita, un memento per ricollegarmi a me stessa.
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